Sin dall’infanzia, scriveva Mary Wollstonecraft già nel 1792, viene insegnato alle donne che la bellezza è il loro lo scettro; “la loro mente si modella sul corpo e, ciondolandosi nella gabbia dorata, cerca solo di venerare la propria prigione[1]“.
Generalmente, si dedicano molte ore della settimana a guardare la TV, a leggere riviste e altre pubblicazioni, a contemplare cartelloni pubblicitari, al cinema, e quindi si è esposti costantemente alla cultura popolare e alla pubblicità. È impossibile pensare che questo non abbia nessun impatto sul modo in cui l’individuo si pone e sulle sue aspettative negli altri intorno a lui.
Inoltre, un altissimo numero di immagini di persone apparentemente perfette, come ad esempio nelle pubblicità, circolano nei media e possono alterare la percezione degli individui su se stessi.
Attraverso l’alto numero d’immagini di donne e uomini, e la trasmissione di codici di genere e di sessualità che entrano a fare parte dei concetti di cultura, i media hanno un grande impatto sulla nostra identità.
La maggior parte degli uomini e delle donne nei media corrispondono in comportamento e in funzione a stereotipi socialmente prestabiliti.
In televisione, spesso le donne non hanno voce, o sono associate a temi come sesso, moda, spettacolo e bellezza[2].
Quando si tratta di parlare di protagoniste femminili, spesso le riviste o i giornali riportano notizie su come sono vestite e truccate sminuendo il ruolo che rappresentano.
[1] Wollstonecraft M., Sui diritti delle donne, RCS Quotidiani S.p.A., Milano 2010, pagg. 54-55.
[2] Spinelli B.-Giuristi Democratici, Rapporto ombra elaborato dalla piattaforma italiana “Lavori in Corsa: 30 anni CEDAW”, Giugno 2011.
Grazie Kristy.