1) Sessismo linguistico
2) Il linguaggio, ruolo fondamentale nell’identità di genere
3) Linguaggio e pensiero
4) L’italiano e il genere
“Il preside ha ricevuto una telefonata dal marito ed è uscito“.
1) Sessismo linguistico
Con l’espressione sessismo linguistico si fa riferimento alla nozione linguistic sexism elaborata negli anni ’60-’70 negli Stati Uniti nell’ambito degli studi sulla manifestazione della differenza sessuale nel linguaggio[1].
Era emersa infatti una profonda discriminazione nel modo di rappresentare la donna rispetto all’uomo attraverso l’uso della lingua, e di ciò si discuteva anche in Italia[2].
Nel 1987 il libro Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, pubblicato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, arriva a interessare attraverso la stampa anche il grande pubblico.
La questione della rappresentazione della donna attraverso il linguaggio emergeva in Italia in un periodo in cui la questione della parità fra donna e uomo era alla ribalta sul piano sociale e politico.
Fino alla fine degli anni ’80 l’idea di parità sembrava implicare un adeguamento della donna al modello maschile o, più tecnicamente, una sua “omologazione” al paradigma socioculturale maschile. Per le donne che raggiungevano posizioni professionali o occupavano ruoli istituzionali di prestigio essere incluse nel “mondo linguistico” e sentirsi chiamare direttore, architetto, consigliere o chirurgo rappresentava una prova della tanto sospirata parità.
2) Il linguaggio, ruolo fondamentale nell’identità di genere
Lo scopo del lavoro di Alma Sabatini si riallacciava a quello di (ri)stabilire la “parità fra i sessi” attraverso il riconoscimento delle differenze di genere. Al linguaggio viene riconosciuto un ruolo fondamentale nella costruzione sociale della realtà e, quindi, anche dell’identità di genere maschile e femminile: è perciò necessario che sia usato in modo non “sessista” e non privilegi più, come fa da secoli, il genere maschile né tantomeno continui a tramandare tutta una serie di pregiudizi negativi nei confronti delle donne, ma diventi rispettoso di entrambi i generi.
3) Linguaggio e pensiero
Il dibattito rivitalizza filoni di ricerca, come la relazione tra lingua e pensiero e l’ipotesi che la lingua condizioni il modo di pensare (Sapir-Whorf).
Secondo lo psicologo Vygotskij, la prima funzione del linguaggio è la funzione comunicativa. Il linguaggio è anzitutto il mezzo di relazione sociale, il mezzo di espressione e comprensione.
La lingua segue inevitabilmente l’evoluzione della società. L’uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell’atteggiamento di chi lo pronuncia e quindi di chi lo ascolta. La parola è una materializzazione, un’azione vera e propria.
La lingua è storia; è un sistema di segni verbali o simbolici e di regole per il loro uso che vive nel tempo e si trasforma nel tempo.
4) L’italiano e il genere
In italiano e in tutte le lingue che distinguono morfologicamente il genere grammaticale maschile e quello femminile, la donna risulta spesso nascosta “dentro” il genere grammaticale maschile, che viene usato in riferimento a donne e uomini (gli spettatori, i cittadini, ecc.). Frequentissimo è anche l’uso della forma maschile anziché femminile per i titoli professionali e per i ruoli istituzionali riferiti alle donne: sindaco e non sindaca, chirurgo e non chirurga, ingegnere e non ingegnera, ecc.
“Signora maestra come si forma il femminile?”
“Partendo dal maschile: alla ‘o’ finale si sostituisce semplicemente una ‘a’”
“Signora maestra, e il maschile come si forma?”
“Il maschile non si forma, esiste[3]”
Sia nella comunicazione istituzionale sia in quella quotidiana le resistenze ad adattare il linguaggio alla nuova realtà sociale sono ancora forti e così, per esempio, donne ormai diventate professioniste acclamate e prestigiose, salite ai posti più alti delle gerarchie politiche e istituzionali, vengono definite con titoli di genere grammaticale maschile: il ministro Maria Elena Boschi, il magistrato Ilda Boccassini, l’avvocato Giulia Bongiorno.
Tuttavia, la situazione è in movimento, si notano una maggiore attenzione, da parte dei media, ad esempio, a usare il genere femminile per i titoli professionali e i ruoli istituzionali, sui maggiori quotidiani l’uso di ministra e deputata è triplicato negli ultimi anni.
[1] Robustelli C. Il sessismo nella lingua italiana in http://www.treccani.it/lingua_italiana/speciali/femminile/Robustelli.html
[2] Robustelli C., Lingua e identità di genere, «Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata», XXIX, 2000, 507-527.
Robustelli C., Lingua, genere e politica linguistica nell’Italia dopo l’Unità, in Storia della lingua e storia dell’Italia unita. L’italiano e lo stato nazionale, Atti del IX Convegno dell’Associazione per la Storia della lingua italiana (Firenze, 2-4 dicembre 2010), Firenze, Cesati, 2011, pp. 587-600
Robustelli C., Linee guida per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo, Progetto Genere e linguaggio. Parole e immagini delle comunicazione, Firenze 2012
[3] Priulla G., C’è differenza, Franco Angeli, Milano 2013